Sopra Colfosco.

Ieri sera, complice la stanchezza delle camminate accumulate, non sono riuscito ad aggiornate il blog. Lo faccio stasera. Siamo stati a Col Pradat nella valle stella alpina sopra Colfosco.
Abbiamo lasciato l’auto vicino la chiesa del paese e ci siamo incamminati per le stradine, naturalmente in salita, fino ad arrivare alla base della cabinovia che non prendiamo e continuiamo a camminare ora lungo una strada fatti di sassi e delimitata dai fili dissuasori per gli animali al pascolo. Il nostro cadenzare lento sulla strada in salita ci porta dopo circa trenta minuti al primo rifugio Edelweiss. E’ ancora presto e decidiamo di proseguire per la sommità del colle, Col Pradat appunto. Tempo di ammirare lo splendido panorama dalla terrazza del rifugio omonimo, scendiamo nuovamente prendendo una deviazione su un altro sentiero. Sentiero molto panoramico e fonte di ispirazione per la foto che vedete sopra.
Passando tratti più o meno impervi ancora con qualche rimasuglio di neve (Milo appena la vede diventa matto, dobbiamo portarlo sulla neve prima o poi) arriviamo all’edicola di San Francesco. Edicola che si trova prima della forcella e del bivio di altri sentieri che portano, uno al rifugio Puez l’altro al rifugio Sassongher.

L’amichetto giallo che per tutta la durata della passeggiata dormiva e russava nella tasca del mio zaino, si è messo a fare casino per uscire dalla tasca ed ammirare la natura che ci circondava. Ovviamente mi ha chiesto di scattargli qualche foto di rito.

Una volta finito lo shooting fotografico è tornato velocemente nella tasca del mio zaino e velocemente si è messo a dormire rumorosamente. Milo, invece, ha trotterellato per tutto il percorso. Tornati alla macchina si è accomodato sul sedile posteriore ed è caduto anche lui in un sonno profondo.

Al rifugio Scotoni verso il Lagazuoi?

Oggi, dopo i suggerimenti durante la grigliata di ieri da parte di due ospiti dell’albergo, decidiamo di salire verso il rifugio Scotoni. Dopo aver visto video e letto articoli e pensato molto se fosse un percorso fattibile per le piccole zampe di Milo, abbiamo rischiato e siamo andati. Abbiamo lasciato l’auto presso il parcheggio della capanna Alpina (5€ il costo giornaliero), e ci siamo incamminati lungo il sentiero che è poi il letto del fiume ora asciutto.

Inizia la ripida salita verso il rifugio. Due chilometri di salita per circa 250 metri di dislivello. La strada è spacca polpacci in salita e ginocchia in discesa. Milo piano piano trotterellava tra i bordi andando, di tanto in tanto, ad odorare e segnare ora sassi, ora piante alpine. L’amichetto giallo, invece, sonnecchiava beato dentro lo zaino.
Dopo circa cinquanta minuti siamo arrivati al rifugio. Un altopiano montano dove pascolano e corrono gli alpaca. Animali curiosissimi e con sguardi buffi quando uno cerca di avvicinarli. Col cane non ho potuto farlo troppo.

Camminiamo per un po’ e troviamo una panchina per riposarci e dare un biscottino a Milo e l’acqua. Guardiamo avanti e scorgiamo la strada verso il lago Lagazuoi. Proviamo un approccio ma alla fine, per preservare le già provate zampette del tosto Milo, decidiamo di fermarci al rifugio. Era troppo per lui salire nuovamente per altri 250 metri di dislivello per poi scendere di nuovo. Il nostro amico giallo, invece, si beava di noi sul segnavia. Prima di andare al rifugio ci siamo fermati alla cappelletta montana in ricordo dei soldati tedeschi morti durante la prima Guerra Mondiale. Questa montagna era in Austria cento anni fa ed è stato teatro di molti scontri con i soldati italiani che si trovavano di fronte.

Ci siamo promessi che torneremo al lago. Ma ci dobbiamo attrezzare meglio per Milo.

Piz Sorega e dintorni.

Ieri sera, causa grigliata e ore piccole mi sono dimenticato di pubblicare la passeggiata che abbiamo fatto. Stasera rimedio. Dopo lunghe discussioni col noto amico giallo, siamo tornati sull’altopiano di Pralongià, ma salendo da un’altra parte, da Piz Sorega.

Partiti alla pase dell’omonima ovovia siamo saliti a piedi seguendo il sentiero che seguiva la pista da sci. In inverno il comprensorio si trasforma in un dedalo di piste da sci. Il sottoscritto non sa sciare e le piste le frequenta quando sono verdi e piene di fiori. Strada tranquilla e in pochi minuti si arriva al primo rifugio, ma era ancora mattina e abbiamo deciso di proseguire fino al Piz per poi muoverci e cercare poi lì dove mangiare.

Continuiamo a salire tra prati carichi di acqua e casupole di legno e fienili. Ogni tanto qualche fontanella interrompe il silenzio col suo scrosciare dell’acqua. Il sole inizia a farsi sentire e arrossa la pelle nonostante la protezione ai suoi raggi. Arriviamo in quota e cerchiamo di capire dove siamo sbucati sul sentiero. Dopo un po’ riprendiamo i passi che ci portano al rifugio Bioch. Qui l’esserino giallo ha voluto una foto alla postazione di smart – working più bella d’Italia. Giudicate voi.

Mentre lui scattava il sefie, il piccolo Milo si rinfrescava nell’erba alpina. Ci fermiamo al rifugio e pranziamo lì. Milo ha avuto la sua ciotola d’acqua fresca per calmare la sete e aggiungerla alle crocchette che mi porto dietro.

Dopo aver riposato un po’ abbiamo ripreso la strada del ritorno con in mente la meta del giorno dopo.

Pralongia.

Oggi, dopo un lungo brainstorming, abbiamo deciso di andare a Pralongia. Il nostro amichetto giallo è stato arzillo per tutta la giornata ed ha voluto la foto all’inizio della passeggiata. Ha fatto bene, perché subito la strada si faceva in salita abbiamo seguito le indicazioni che ci hanno portato alla pista da sci, potete immaginare di che pendenza era. Dopo una ventina di minuti di ripidi passi tra i prati erbosi incrociamo la più comoda strada serrata anch’essa in salita, ma una salita più morbida.
Durante l’ascesa a Pralongia, complice l’orario, abbiamo lasciato libero Milo di camminare senza guinzaglio accanto a noi. Si è comportato bene. Era come al solito preso dagli odori e dai suoni del bosco. Arrivati in quota, ci fermiamo per un caffè per poi scendere verso il Rifugio delle Marmotte. Lo troviamo chiuso! Riposo settimanale. Torniamo a risalire per trovare un altro rifugio. Sulla strada voltiamo le spalle e sua maestà la Marmolada ci saluta.

All’ora di pranzo ci troviamo presso il rifugio Punta Trieste. Ci riposiamo tutti e quattro. Lui ha voluto la foto con dietro la Marmolada.

Su suggerimento del ragazzo del rifugio, prendiamo una scorciatoia per campi e prati verdi. Nel giro di una mezz’ora siamo tornati al luogo di partenza.

Ancora non abbiamo deciso cosa fare domani, lasciamo il nostro amico giallo a studiare la cartina. Milo è crollato sul materassino. Buonanotte.

Tra i mulini di Longiarù

I giorni trascorrono tra passeggiate e aria che sa di fieno. Il ronzare delle api e degli insetti sui fiori ci fa compagnia nei campi verdi che attraversiamo lungo il sentiero che ci porta ai mulini.
Siamo partiti dal paese di Longiarù e tra il sole che filtra dal cielo velato, piano piano ci facciamo strada. Le gambe ci fanno male visto quello che hanno passato i giorni scorsi, quindi complice anche le previsioni meteo che davano temporali, ma di temporali nemmeno l’ombra, abbiamo deciso un percorso facile e suggestivo.

Abbiamo attraversato fattorie e masi e fienili e animali che mangiavano fresca erba. I crocifissi disposti lungo il sentiero e all’entrata di questi agglomerati ci fa capire come la gente sia legata alla fede. E’ un atto di fede vivere tra e per la natura. Chi lo fa si avvicina di più a chi ha creato tutto questo.

I mulini, dicevamo, ci accolgono col loro rumore di acqua. L’acqua del torrente addomesticata e deviata in grandi tronchi, che fungono da acquedotto, allieva il lavoro duro dell’uomo. Un mulino sfrutta la forza dell’elemento per far muovere una teleferica, un altro per ricavare il grano. Insomma l’uomo qui si è adattato ed ha adattato la natura per trarne vantaggio sul lavoro dei campi.

Finita la salita, anzi la risalita del torrente, abbiamo svoltato per scendere a valle. Il nostro amichetto giallo non ha voluto sentire ragioni ed è rimasto tutto il tempo nel mio zaino, mi ha detto che era troppo stanco e si voleva far trasportare. Milo invece, ha ripreso le forze, e apriva la strada davanti a noi, preso dai profumi e odori che solo il suo naso riesce a sentire. Ogni tanto lascia la sua firma su un muro o su un palo o tra i fili d’erba. A pranzo abbiamo deciso di provare un agriturismo del posto. Ad un tratto, verso la fine del pranzo, sento dei movimenti dentro il mio zaino, apro la zip della tasca e lui balza fuori e si piazza sul tavolo per prendere un pezzetto di strudel e fare la foto. Poi si rimette nella tasca e cade in un sonno profondo.

E’ stata una giornata di relativo riposo per le nostre gambe e le zampette di Milo. Domani riprendiamo a salire in quota per godere dall’alto questi posti.

Defaticamento. Forse.

Dopo la sgambata di ieri, oggi volevamo fare un po’ di defaticamento. Complice la bella giornata, siamo andati nel paese di S. Genesio per passeggiare tra i masi. Abbiamo iniziato il sentiero, su indicazione della signorina dell’ufficio turistico, verso la chiesa di Santa Barbara (foto). Ci da il benvenuto una bella salita. Anche oggi. Arrivati alla chiesa proseguiamo per il sentiero alla ricerca dei masi ma dei masi nemmeno l’ombra. Ripieghiamo per rifugio Utia Da Rit. Due ore in salita. Oggi è stato caldo e alcuni tratti erano al sole pieno. Arrivati molto provati al rifugio, ci siamo fermarti per pranzo e riposati tutti. Il povero Milo soffre i pezzi esposti al sole, ricercava sempre la nostra ombra per refrigerarsi un po’.

L’amichetto giallo dopo pranzo ha voluto una foto ricordo del panorama ancora innevato.

Dopo pranzo abbiamo ripreso la via del ritorno percorrendo lo stesso sentiero. Ad un chilometro dalla fine, Milo ha chiesto di riposarsi sotto l’ombra di un albero. Ci siamo fermati stanchi e accaldati anche noi per una mezz’oretta. Arrivati alla macchina siamo tornati in albergo. Il dislivello di oggi segna nuovamente 700 metri.

Per fortuna dovevamo fare defaticamento!

Salire in montagna

Quest’anno siamo tornati in montagna, meglio sulle montagne dell’Alto Adige. Visto anche il periodo anomalo per salire in montagna, la scelta è stata molto difficoltosa. Alla fine siamo in Val Badia. Terra Ladina .

Come ogni volta che andiamo da qualche parte ci portiamo dietro il nostro amichetto giallo, ma questa volta si è aggiunto l’amichetto quadrupede che da qualche mese ci riempie le giornate. Come primo giorno, dopo il viaggio per arrivare qui, ci siamo fidati dei suggerimenti del proprietario dell’albergo dove soggiorniamo. Anche perché dovevamo testare il piccolo amico a quattro zampe sui sentieri dolomitici. Si parte per Rifugio Santa Croce con annessa chiesa del Santuario omonimo (rifugio la Crusc in ladino). Alla fine, da una passeggiata tranquilla descritta la sera prima nella realtà è stata una bella e tosta, come primo giorno, sgambata di 700 m di dislivello! Insomma le gambe a metà percorso chiedevano di tornare indietro, ma poi piano piano e anche con l’aiuto del piccolo ma tosto Milo, siamo arrivati alla meta. Paesaggi mozzafiato che ripagano dello sforzo.

Il nostro amichetto giallo, invece, si godeva il panorama dal mio zaino. Arrivati al Santuario ha voluto la foto di rito.

Come potete vedere non ha perso il suo lato vanitoso. Abbiamo proseguito per un altro pezzo per raggiungere la “grotta della neve” ma a metà strada veniamo avvisati che è chiusa. Quindi abbiamo ripiegato verso il rifugio e poi siamo ridiscesi verso la stazione della seggiovia perché il tempo prometteva tempesta. Rifocillati, siamo ripartiti e tornati a casa. Un po’ distrutti ma soddisfatti.

Verso la fine dell’anno.

Di solito verso la fine dell’anno si tirano le somme. Io, invece, vorrei cancellare dal nostro vocabolario le seguenti parole: lockdown, zone rosse e arancioni e gialle, autocertificazione per gli spostamenti, positivo (che ha assunto un’accezione negativa), coprifuoco, congiunti (nel senso della visita solo ai), tamponi, conferenza stampa in tivù, videochiamata, sanificazioni, gel mani, mascherine e se mi sono scordato qualcosa aggiungete voi.

Natale e dintorni.

Siamo arrivati al Natale di un anno difficile. Lo avevamo iniziato con tante aspettative, poi un esserino microscopico ha sconvolto le nostre vite. Insomma pensavamo di averle viste tutte, ma una pandemia proprio mancava all’elenco delle cose da fare nella nostra vita. Siamo diventati epidemiologi e dottori e scienziati e ricercatori. Le mascherine sono diventate parte essenziale del nostro corpo. Nei mesi scorsi abbiamo conosciuto una nuova parola: lockdown. Intraducibile in italiano. Speriamo di toglierla presto dal nostro vocabolario.
Col passare dei mesi e dei contagi e, purtroppo, dei morti siamo stati catapultati in questo Natale diverso.

Natale di divieti e di video chiamate. Autocertificazione in tasca, calcolatrice per fare i conti esatti di quanti stare a tavola, tavola preparata col metro da sarta per contare i centimetri tra un piatto e l’altro. Questo virus ci ha tolto tutto.

Proprio da questo Natale deve partire la rinascita. Il mio augurio è: rinasciamo e scacciamo le paure, le angosce che ci sono intorno. Possiate ritrovare quella intima serenità e quella voglia di donare un pezzettino del vostro tempo al prossimo. Ecco cosa ci ha insegnato questo virus: senza comunione con il vicino non si va da nessuna parte.

Buon Natale a tutti noi, nonostante tutto.

Nuovo ospite.

Milo e il bagno di sole.

Come sapete abitiamo in campagna. Tranquillità, orto casalingo, avvistamenti di uccelli più o meno rapaci, il silenzio della notte e il latrare dei cani. Insomma una vita che scorre tra le chiacchiere col vicino di quarantanni più grande di me e il giardino da preparare per l’inverno.

In una giornata di fine ottobre, mentre stavo fuori a godermi un po’ di sole e vedere i lavori da fare nei prossimi giorni in giardino, noto sulla strada provinciale lo zompettare di un piccolo cane dallo sguardo disorientato e impaurito.
Vedo che attraversa la strada avvicinandosi al cancello, chissà forse mi aveva visto anche lui. Apro l’anta e lui si infila velocemente dentro come una nave quando attracca in un porto sicuro.
Si fa avvicinare non è diffidente. Preparo subito un piatto con un po’ di acqua e un altro piatto con dei croccantini rimasti dalla legione dei gatti da guardia . Si rifocilla. Noto che ha una catena a mo di collare.

Con Alessia scattiamo qualche foto e le pubblichiamo sui social nel caso in cui sia scappato da qualche casa. Poco dopo lo porto, con qualche difficoltà nel caricarlo in auto per il piccolo viaggio, dal veterinario per controllare se ha il chip di riconoscimento. Non ha chip.
La veterinaria lo controlla e dice che sta bene e che l’ho vinto. Io faccio finta di non aver sentito. Insomma il mio animo da “gattaro” viene messo in discussione da un trovatello.

I primi giorni passano nella ricerca reciproca di stabilire un contatto. Piano piano, crocchette dopo crocchette, riusciamo a ricostruire quel clima di fiducia tra cane e uomo. Le prime sere, quando andavamo a dormire e lo lasciavamo in salone, veniva in camera da letto per controllare se ci fossimo ancora. Due carezze e tornava nel suo letto improvvisato.

Di tanto in tanto controlliamo le foto pubbblicate se qualcuno lo cerca ma nessuno si fa avanti. E’ scappato? Sarà stato abbandonato?

E’ quasi un mese che ha preso possesso dei nostri cuori e tra carezze e abbracci e uscite in giardino si è tranquillizzato molto. Si è abituato ai nostri strani orari lavorativi e ogni volta che torniamo e apriamo la porta lui è pronto con le feste alla ricerca di qualche carezza.

Gli abbiamo dato come nome Milo. Cane fortunato che ha (ri)trovato una casa dove stare e donare la sua compagnia.

Anche i “gattari” possono diventare amanti dei cani.

P.s.: era da qualche tempo che stressavo Alessia con la domanda: “Come lo vedi un cane con noi?”. Insomma la vita riserva sempre mille sorprese.