Al Puez! Al Puez! Al Puez!

Questi due giorni non ho avuto modo di aggiornare il blog con i post, ma diciamo che non c’è stata una vera e propria uscita per nuovi sentieri. Giovedì ci siamo presi una giornata di break dalle montagne e, viste le previsioni del tempo che davano pioggia dal primo pomeriggio, ci siamo diretti a Brunico. Passeggiata per le vie della cittadina e pranzo e shopping. Il venerdì, invece, approfittando del bel tempo siamo tornati al rifugio Punta Trieste per mangiare le sue famose costine di maiale alla griglia.

Le costine di maiale.

Ci siamo incontrati con un collega e la sua fidanzata e la sua combriccola di amici. Loro, più sportivi di noi, avevano preso in affitto delle e-bike e sfrecciavano tra i sentieri dell’altopiano di Pralongià. Se volete seguire le loro imprese lo trovate su instagram come @thesportyvan

Oggi abbiamo ripreso a camminare su sentieri che non avevamo mai affrontato. Siamo partiti dal parcheggio della cabinovia di Col Pradat a Colfosco per andare al Rifugio Puez.

La strada inizia subito in salita. Si costeggia la pista da sci “stella alpina”. Passato il rifugio stella alpina si continua a salire, si incontra un’ edicola dedicata a San Francesco che guarda tutta la vallata. Ma si deve continuare fino alla forcella

Ciampei. E li il nostro intruso giallo ha voluto una foto. E’ bello farsi trasportare tutto quel tempo ed uscire solo per farsi fare una foto.

Lui alla forcella

Continuiamo a camminare sul sentiero che si fonde con quello dell’alta via dolomitica numero 2. Saliamo ancora più in alto e ci troviamo su un altopiano fatto di roccia e muschi e licheni. Tra le rocce si potevano intravedere le tane delle marmotte. I loro fischi ci facevano compagnia. Da lontano si iniziano ad intravedere le bandiere del rifugio. Volgiamo lo sguardo e riusciamo a scorgere sotto di noi la Vallunga, il Seceda alla nostra destra, all’orizzonte il rifugio Bolzano.

Piano piano, passi un po’ più pesanti, arriviamo al rifugio Puez.

Li ci riposiamo un po’ e pranziamo. Dopo il pranzo e un caffè riprendiamo gli zaini e torniamo indietro. Foto di rito del nostro amichetto.

Ci fermiamo al rifugio stella Alpina per il dolce. Io ho optato per uno strudel, Alessia per una torta al grano saraceno con la marmellata ai frutti di bosco. Tornati alla macchina i nostri compagni di viaggio si sono addormentati.

Info per chi volesse replicare il percorso. Per arrivare al rifugio ci abbiamo messo circa 2h e 30 minuti. Il dislivello è circa 750 m. Per il ritorno si impiega lo stesso tempo.

Venti ventidue

E’ uno strano periodo quello che viviamo tra la fine dell’anno e quello nuovo. Sono due anni di pandemia, tralascio tutti i ragionamenti veri o presunti o presunti complottisti perché francamente ci siamo stufati di sentire tutti i giorni le stesse cose; torno quindi allo strano periodo che stiamo vivendo. Verso la fine dell’anno ognuno di noi ripercorre, come in una VHS rigorosamente in bianco e nero, tutti i momenti vissuti e tira le somme, pensa a cosa potrà fare nell’anno che verrà gli errori da non ripetere e via discorrendo.

Al contrario, ultimamente mi capita, penso a come erano le feste di quando ero bambino e di come col tempo si siano trasformate. E penso quindi all’attesa dei regali, alle notti passate insonni a sentire la Befana attaccare le calze alla cucina o a scoprire la mattina dopo che aveva mangiato un pezzo di panettone e bevuto il mezzo bicchiere di vino lasciato sul tavolo, suggerimento della nonna perché a suo dire, se non trovava niente sul tavolo il prossimo anno non sarebbe passata . Alle alzate all’alba con l’emozione incontrollata dello scarto regali.

Con l’età adulta tutto quello si perde. Però una cosa rimane, la mamma che regala la calza della Befana anche se hai più di cinquant’anni. Dai diciamocelo, fa effetto ricevere ancora la calza col carbone se hai superato gli enta e anta. Però vi consiglio di tenervelo stretto quell’imbarazzo del “Dai ma’ ancora la calza”, portatelo sempre con voi così potrete ritornare indietro nel tempo e rivivere quelle sensazione che vivevate da bambino.

Buona Befana e buon ventivendidue.

Vecchie scarpe.

Qualche giorno fa stavo rimettendo a in ordine la scarpiera. In realtà volevo fare una sorta di inventario delle scarpe. Quali mettere da parte per la stagione calda, quali indossare ora o se le scarpe di pelle avevano bisogno della manutenzione ordinaria e di uno strato di grasso per rendere morbida la tomaia. Insomma il solito censimento a fine stagione.

Pensavo fosse un lavoretto di poco tempo, invece si è trasformato in una sorta di tribunale della scarpa. Quali paia tenere, quali buttare. Scelta ardua. Ogni paia di scarpe ha una sua storia. Per me è come buttare un pezzo di storia. Ogni scarpa ha la suola consumata per un motivo. Quelle da ginnastica hanno calcato più o meno campi sintetici o naturali. Quelle da trekking mi hanno fatto compagnia tra i boschi. Quelle invernali mi hanno lasciato all’asciutto.

Non mi dilungo troppo, ognuno di noi vive con le proprie scarpe delle storie. Morale della favola? Tre paia di scarpe con le suole rotte ora sono imbustate e dentro un secchio.

Però vedendole mi è venuta una nostalgia e un pensiero mi frulla in testa da qualche giorno: perché non dare un’altra vita a queste scarpe riciclando i loro materiali? Perché ricicliamo solo plastica, carta ma non tutti i materiali che arrivano a fine vita? Chissà se a Glasgow ci stanno pensando o stanno facendo solo l’ennesima passerella?

Habemus Rete

Da qualche giorno, qui in questa remota landa ai confini della città metropolitana, abbiamo il collegamento alla Rete. Yuppi. Siamo tornati nel ventunesimo secolo!

Erano anni che cercavo una soluzione per poter accedere senza problemi e senza limiti alla Rete globale. Durante la pandemia tutti abbiamo capito l’importanza di accesso alle informazioni, alle video call per lo smart working, agli acquisti on line. Vero sono tutte cose che si possono fare in mobilità tramite il proprio telefono però un collegamento da casa, veloce è diventato fondamentale quasi come avere l’elettricità.

Ora c’è la luce notte e giorno. Ora inizia una nuova era.

Primi segni di follia.

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I giorni scorrono, le giornate si allungano e la quarantena va avanti. I primi giorni abbiamo scoperto angoli di casa sconosciuti. Poi siamo passati alla pulizia delle superfici più o meno nascoste. I più virtuosi hanno cominciato lavori di imbiancatura delle pareti.

Siamo passati in cucina e ci siamo infilati nelle credenze alla ricerca di alimenti scaduti e li abbiamo trovati. Svuotate e pulite e riempite da quello che si è salvato dal blitz casalingo. Abbiamo continuato per le stanze delle nostre case alla ricerca dell’acaro da sterminare, dalla laniccia da aspirare agli armadi da sistemare.

I cestelli delle lavatrici stanno girando più volte alla settimana svuotando  il cesto dei panni sporchi molto velocemente. Le lavastoviglie detergono e sgrassano come non mai.
I nostri forni sono alle prese con uno stress test molto forte  cucinando dolci e pane e arrosti come fosse domenica ogni giorno.

Ma ora che abbiamo finito quasi tutte le opzioni di pulizia e lavori casalinghi, un lungo brivido corre lungo la schiena.

CHE FACCIAMO OGGI?

I suggerimenti sono graditi. Grazie.

Senza guarnigione.

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Chi segue questo blog, sa che nel giardino vi stazionava una piccola guarnigione di gatti da guardia. Soprannominati così perché per una razione giornaliera di croccantini ed un giaciglio al coperto e con maglione di lana, cacciavano topi e colombe e insetti vari e anche serpenti che capitavano, per loro sfortuna, nello yard.

Da qualche giorno anche l’ultimo guardiano ha lasciato l’avamposto. Il motivo non lo so. Avevo preparato tutto per l’inverno. Il trasportino al coperto col maglione e cartone all’interno, ciotole varie per il cibo e l’acqua, scatolette di umido per superare le temperature fredde.
Ora è tutto vuoto. Il giaciglio è alla ricerca di qualche gatto che vuole passare la notte. Le ciotole di cibo vengono usate anche dagli uccelletti oramai consapevoli che non finiranno preda degli artigli della guarnigione.

I pomeriggi scorrono così, senza i suoi agguati alla ricerca di qualche carezza e poi di qualche crocchetta. Le piogge di questi giorni ha reso tutto più triste, come se il cielo esprimesse la sua tristezza per la sua  mancanza. Il nomignolo che gli avevo affibbiato è Dorian II. Dorian perché aveva il pelo grigio (grey in inglese e il nome viene da sè). Secondo perché è stato il secondo gatto di quel colore.
Sicuramente la sua voglia di scoprire il territorio, la sua innata curiosità  lo hanno spinto lontano da qui, o forse è solo poco distante perché ha trovato la gatta dei suoi sogni. Chissà. Io comunque continuo a riempire la ciotola di croccantini la sera e la mattina la trovo vuota. Forse è lui che torna la notte. Forse.

Dove siamo stati.

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Da qualche giorno siamo tornati alla normalità. Il viaggiatore giallo si sta riposando sulla mensola accanto ai suoi amichetti, noi siamo presi con lavatrici, sistemazione orto e siamo alle prese con il caldo. Aspettiamo con ansia le prime piogge di settembre.

Ma parliamo dei luoghi dove siamo stati nei giorni dolomitici. Abbiamo soggiornato presso l’hotel Costabella  Per la prima volta abbiamo soggiornato così in alto. La struttura si trova a Passo San Pellegrino, 1.910 m di altezza. Camere in stile montano (con molto legno), dalle finestre un paesaggio unico. Se volete stare tranquilli e godere della vicinanza della natura il posto fa per voi e Patrizio, il proprietario, mette tutti a proprio agio. Prodigo di consigli su dove andare, cosa fare. Lo ringraziamo dei giorni trascorsi in quota e ringraziamo tutto il suo staff. Ovviamente un saluto anche alla mascotte dell’hotel, Dante. Il bulldog più in alto di Italia.

Nei giorni trascorsi a camminare abbiamo visitato quasi tutto il passo San Pellegrino. Abbiamo pranzato alla Baita Paradiso un panorama mozzafiato, piatti buonissimi. Secondo noi una tappa obbligata se volete mangiare al Passo San Pellegrino. Altra tappa obbligata è il rifugio Fuciade situato in una valle chiusa ai piedi della catena del Costabella. Piatti della tradizione ladina con un tocco di ricercatezza. Andateci. Siamo andati anche alle terme a Pozza di Fassa. Se volete passare una giornata di relax avendo come cornice il bosco e le dolomiti ve le consigliamo. Vi consigliamo, inoltre, di visitare i luoghi della Prima Guerra Mondiale. Molto suggestivi e carichi di storia. Sulle cartine che danno in albergo o all’infopoint turistico trovate tutte le informazioni.
Alla prossima vacanza.

Giornate montane

Le giornate passano molto velocemente quando si è in vacanza. Non si riesce a capire il perché. O forse è la teoria della relatività del tempo che ci mette lo zampino, ma tant’è che ci troviamo quasi a metà dei giorni trascorsi.
Il governo è caduto, ma quassù, alla natura, poco importa. Qui tutto va avanti tra prati e boschi e mucche e animali più o meno selvatici.
Oggi, convinti dalle previsioni meteo, abbiamo preso l’auto e siamo andati tra valli e paesi. Abbiamo fatto riposare le gambe dopo i primi due giorni. Ah già, non vi ho raccontato di ieri. Vedete, la teoria della relatività  fa perdere la cognizione del tempo. Iniziamo.

Ieri, dopo il riscaldamento muscolare di lunedì, abbiamo provato a spingere ancora un po’ di più. Siamo partiti a piedi dall’albergo in direzione “località degli zingari”. Una passeggiata tra i verdi boschi dolomitici. Il nostro amico giallo, sbirciando dalla tasca dello zaino, dove comodamente si fa trasportare, ha voluto la foto di rito lungo il sentiero.

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Il sentiero costeggia la base della montagna per poi risalire. Si inerpica tra  boschi di abeti e larici che da 1.700 m sale su fino al lago Cavia a 2.102 m (lago artificiale). Lungo il sentiero, chiamato “alta via dei pastori”, si possono assaggiare ottimi lamponi. Continuando sulla diga e costeggiando il lago siamo risaliti per il rifugio Laresei.

(Il nostro amico giallo con alle spalle il lago di Cavia)

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Dopo pranzo ci siamo messi sulla strada del ritorno percorrendo il sentiero 658 (Alta via delle Dolomiti) che dalla Forcella Pradazzo ci riporta, tra prati e rocce e licheni, discese ripide e passaggi tra le piste da sci  e cascate, al punto di partenza. Un anello di ca 15km, tanta fatica, ma ripagata da paesaggi bellissimi.

(Sempre lui, con alle spalle una piccola cascata incontrata sul sentiero)

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L’avventura del passero.

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Qualche giorno fa, di ritorno dal lavoro, mentre entravamo in casa e sistemavamo la spesa, dal camino ho avvertito dei rumori. Inizio a cercare il motivo di tali strani suoni.
L’indagine mi porta dietro al muro dove è posizionato il camino e a seguire la strada della canna fumaria.

All’inizio pensavo fosse il vento che faceva muovere la “palla” alla fine del comignolo, ma di vento neanche un alito. All’improvviso vedo sul cappello che chiude la canna, un passerotto che scruta all’interno. Capisco allora che un suo simile è caduto, o entrato, all’interno. Pero’ non può uscire in quanto non è un camino semplice, ma un termo camino, quindi sopra di esso vi sono sono tubi e il sistema di riscaldamento della casa e il vetro che chiude la camera di combustione.

Il malcapitato, o avventuriero, passerotto si muoveva all’interno della canna. Mi recavo subito da un professionista che pulisce i camini e le canne per chiedere se potesse intervenire per liberare l’animale, ma purtroppo non poteva e mi diceva che dovevo attendere almeno una decina di giorni. Preso dallo sconforto tornavo a casa. Non sapevo più cosa fare per liberarlo. Dovevo attendere che morisse.

Stavo in giardino a sistemare l’orto con la legatura dei pomodori quando, all’improvviso, la mia fidanzata corre verso di me e inizia a urlare che il passerotto era uscito dal camino pero’ aveva sbattuto contro il vetro della finestra ed era mezzo tramortito sul pavimento. Mi infilo i guanti e vado a prenderlo. Era vivo! Lo prendo tra le mani e vedo che reagisce e lo porto fuori. All’improvviso spicca al volo. Prima di sparire nell’orizzonte, si volta indietro e mi guarda per qualche attimo quasi a voler ringraziare. Sparisce volando nel prato di fronte.

Il giorno successivo stessa storia, sempre lui. Ancora una volta nel camino. Stavolta pero’ conosceva la strada e, una volta aperta la finestra, usciva e tornava a svolazzare nel cielo.

Ginnastica ritmica

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Domenica scorsa ho assistito alle gare regionali di ginnastica ritmica della mia nipotina in quel di Morlupo. Palazzetto dello sport gremito, a fatica abbiamo trovato posto tra gli spalti. Musica assordante, stesse prove a seconda delle categorie.

Bambini elettrizzati coi loro genitori al seguito. Doveva durare giusto il tempo dell’esibizione ma invece, per ritardi vari, ci siamo sorbiti le esibizioni delle altre partecipanti, la premiazione della categoria e la presentazione di quella successiva.

Alla fine la povera piccola, a digiuno, si è esibita alle 14 con ben un’ora e mezzo di ritardo dal programmato. Dopo la sua esibizione, fortunatamente, sono passate alle premiazioni e la sua squadra ha vinto la medaglia d’oro di categoria. Bene, bravissima. Sei sulla strada giusta.

Una riflessione: non avevo mai assistito ad una sessione di gara di ginnastica ritmica dal vivo. Sport minore, ma minore a chi? non si sa. Lo sport è lo sport. Punto. Peccato pero’ che non abbiamo una eco mediatica sui media  come le partite di calcio dalla categoria pulcini in su. Forse è proprio questa cultura dello sport che manca in Italia.