Primi segni di follia.

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I giorni scorrono, le giornate si allungano e la quarantena va avanti. I primi giorni abbiamo scoperto angoli di casa sconosciuti. Poi siamo passati alla pulizia delle superfici più o meno nascoste. I più virtuosi hanno cominciato lavori di imbiancatura delle pareti.

Siamo passati in cucina e ci siamo infilati nelle credenze alla ricerca di alimenti scaduti e li abbiamo trovati. Svuotate e pulite e riempite da quello che si è salvato dal blitz casalingo. Abbiamo continuato per le stanze delle nostre case alla ricerca dell’acaro da sterminare, dalla laniccia da aspirare agli armadi da sistemare.

I cestelli delle lavatrici stanno girando più volte alla settimana svuotando  il cesto dei panni sporchi molto velocemente. Le lavastoviglie detergono e sgrassano come non mai.
I nostri forni sono alle prese con uno stress test molto forte  cucinando dolci e pane e arrosti come fosse domenica ogni giorno.

Ma ora che abbiamo finito quasi tutte le opzioni di pulizia e lavori casalinghi, un lungo brivido corre lungo la schiena.

CHE FACCIAMO OGGI?

I suggerimenti sono graditi. Grazie.

La quarantena e i social.

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Oggi voglio affrontare il tema della quarantena e i social media. Da quando è iniziata i telefoni hanno cominciato a diventare roventi. Non passa minuto che arriva una notifica e lo schermo si illumina.

Immagini, video, link stanno movimentando la nostra quarantena. L’immagine che ti arriva dall’amico, che subito fai rimbalzare  verso il telefono di tuo zio, ritorna sul telefono dal collega di lavoro. Insomma i nostri telefoni sono messi a dura prova. Fa piacere riceverli, non fraintendetemi, ma ora la cosa ci sta scappando di mano.

Le storie su Instagram stanno diventando appuntamenti giornalieri come se fossero palinsesti televisivi, le dirette Facebook di quel personaggio famoso scandiscono il tempo sempre uguale delle giornate nelle nostre case.

Oltre alle catene di Sant’Antonio e ai messaggi bufala che girano, dove poi sei obbligato a fare un fact-cheking e stai prendendo una laurea in social media manager, stiamo vivendo una evoluzione social: le videochiamate di gruppo.

In ogni gruppo whatsapp si legge il fatidico messaggio: “Video chiamata di gruppo?” E via si parte. Ognuno mostra quello che sta facendo, come sta vivendo la quarantena.
Si inizia col percorso guidato all’interno di casa tipo openhouse, si continua poi con gli esercizi di fitness per far vedere agli altri che non passi il tempo sul divano e a combattere il senso di colpa di quello che si sta mangiando. Che poi in Cina che si mangiavano? In fondo a noi italiani ci va di lusso, ogni giorno gli Chef casalinghi improvvisano piatti nuovi cercando di svuotare le credenze piene di farina e zucchero a velo e odori aromatici per insaporire i piatti. Si, ci è andata bene sotto questo aspetto. Si conclude la video chiamata con la frase: “Daje che quando finisce tutto ci vediamo e ci abbracciamo”.

Insomma questi social ci stanno salvando, stanno rendendo meno noiose le nostre giornate e riducono le distanze imposte da questo isolamento sociale.
Quando sarà tutto finito trasformeremo i baci e gli abbracci virtuali in reali e festeggeremo all’aria aperta tutti insieme la fine di tutto questo.

 

Le retrovie.

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Tra qualche giorno sarà trascorsa una settimana di ritiro forzato in casa per voi. Per noi che siamo nelle retrovie e ci possiamo muovere, i giorni che stiamo vivendo sono surreali. Surreale è la mancanza di traffico, surreale è la mancanza di viaggiatori sulle banchine. Che poi, detto tra noi, sono ancora tante le persone che prendono i mezzi pubblici. Che ne sappiamo? Ormai abbiamo fatto l’occhio. Riconosciamo, in una frazione di secondo, chi si muove per lavoro, chi si muove per il gusto di muoversi.

Dicevo, questi giorni, surreali, stanno scorrendo. Tra di noi cresce la paura e l’ansia per questo microscopico virus. Insomma siamo tesi tutti quanti, come è normale che sia. Ogni giorno rischiamo. Ogni giorno di più. Però  mi voglio soffermare su una personale riflessione: questo virus ci ha dato una grande lezione e cioè quanto sono importanti i lavoratori dei servizi essenziali ( della logistica, delle merci, delle ferrovie, i tranvieri, dei supermercati, delle poste e banche).

Senza di loro, questo Paese, sarebbe morto. E allora ricordatevi di noi non solo in questi momenti, ma soprattutto nei giorni a venire, quando tutto sarà passato. Ricordatevi che noi ci siamo sempre, con i nostri pregi e i nostri difetti.  Supportateci sempre. Grazie.

A domani.

P.s.: ovviamente un grazie immenso a chi sta in prima linea, medici, infermieri anche loro per troppo tempo criticati. Ora più che mai facciamo squadra.

 

 

 

Cronache dal fronte.

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Inizio oggi le cronache dei giorni che stiamo vivendo. Sarà una cronaca, spero giornaliera, semi seria, una cronaca da chi si può spostare per lavoro e vede coi propri occhi la realtà fuori casa che non sia supermercato e affini. Una cronaca dei fatti e delle mie riflessioni.

Come sappiamo tutti, da mercoledì la maggior parte di noi è chiusa a in casa e può uscirne solo per necessità o per lavoro. Da quel giorno, l’11 marzo dell’anno 2020, ci possiamo affacciare solo ai balconi. I più fortunati che hanno il giardino  possono improvvisare un pic-nic. Però qualcosa dentro di noi sta cambiando. Dall’annuncio in tivù del Primo Ministro ci si è smosso qualcosa. Avevamo capito che stavamo (stiamo) vivendo la storia, quella con la S maiuscola. Chissà cosa si leggerà sui libri tra qualche decennio, sempre che i libri esistano ancora.

In questi giorni stiamo riscoprendo le nostre case, l’importanza dei nostri vicini di balcone, l’importanza del saluto. Questa frenata improvvisa delle nostre abitudini ci servirà per ripensare la nostra società e il nostro modo di vivere.

Alla prossima puntata.