Da qualche tempo sui treni vedo spesso un signore con una bici. Una bici particolare la sua, particolare perché è anche la sua casa mobile. Tutti i suoi averi si muovono su quelle due ruote. La mattina presto lo trovi tra le panchine della stazione, vicino ai bagni pubblici. Poi sparisce, andrà in giro forse, con la sua bici. La sera lo rivedi di nuovo, bici al seguito, che riprende il treno per tornare verso il mare da dove era partito la mattina presto.
La sera riesco a scambiarci due fugaci parole. Quando esco dalla cabina e lui mi ringrazia, col suo italiano stentato e col suo sorriso, del viaggio. Una sera, era la vigilia del primo maggio, mi augura buona festa del lavoro. Ringrazio, ma nel percorre il treno per andare alla cabina opposta, rimugino su quegli auguri. Inaspettati, spiazzanti auguri. Ripenso, a quel suo sorriso e al suo accenno di inchino con la testa, mentre dice quelle parole. Insomma lui è senza lavoro e augura a me buona festa del lavoro. Quasi una contraddizione.
Da quell’episodio sono entrato in “contatto” con lui. Ogni volta che ci vediamo ci salutiamo, ci auguriamo la buonanotte quando parte l’ultimo treno e lui rimane in stazione per poi uscire, ci auguriamo buona giornata la mattina presto. Un gentiluomo con la barba e una croce d’argento (o di metallo chissà), che nonostante la sua vita, dispensa sorrisi, auguri.
Mi fa pensare questo signore. Pensare dove questa società ci sta portando. Siamo distratti dal “rumore” delle cose, dei social che ci scordiamo dei sorrisi. Anche quando siamo in difficoltà. Forse non ce ne rendiamo conto di quello che siamo diventati per via dei ritmi che la società ci impone. Stiamo perdendo il contatto con il mondo reale, trasformando la solidarietà tra gli esseri umani nei “mi piace” o “partecipo” dei social. Riprendo un intervento di Papa Francesco sulla cultura dello scarto che fotografa alla perfezione il momento in cui stiamo vivendo: “Purtroppo nella nostra epoca, così ricca di tante conquiste e speranze, non mancano poteri e forze che finiscono per produrre una cultura dello scarto; e questa tende a divenire mentalità comune. […] le vittime di tale cultura sono proprio gli esseri umani più deboli e fragili, cioè i nascituri, i più poveri, i vecchi malati, i disabili gravi, che rischiano di essere scartati, espulsi da un ingranaggio che dev’essere efficiente a tutti i costi”.
Ecco dobbiamo essere meno “ingranaggio” e (ri)cominciare a aiutare chi è rimasto indietro.